La Scimmia di De Loys

L'Anello Mancante?

La Scimmia di De Loys

Ameranthropoides loysi o Scimmia loysi. Sono questi i nomi con i quali è conosciuto un primate non identificato incontrato nel 1920 da François De Loys in Amazzonia. L’unica prova a sostegno dell’esistenza di questo ominide consiste in una fotografia scattata proprio da De Loys ad un esemplare che aveva ucciso. L’autenticità del documento non è comprovata da altri avvistamenti; la comunità scientifica è ancora oggi divisa circa l’esistenza di questo strano animale. L’idea che un animale di questo tipo possa essersi sottratto fino ad oggi alla classificazione scientifica, comunque, non è così assurda data la vastità della giungla amazzonica e alla difficoltà esplorativa che tale ambiente così selvaggio comporta.

Il geologo svizzero François de Loys fu incaricato dalla Colon Development di condurre una spedizione volta alla ricerca di pozzi petroliferi che lo impegnò per tre anni, dal 1917 al 1920. L’area di interesse era quella compresa tra la Colombia ed il Venezuela, più precisamente sulla catena montuosa chiamata Sierra de Perijeé, nelle vicinanze del lago Maracaibo; tale spedizione risultò purtroppo infruttuosa. La situazione era inoltre aggravata dall’ostilità dei nativi (gli Indios Motilones); dei venti membri di cui era composto il gruppo ne sopravvissero solo quattro.

Nel rapporto di De Loys, redatto nel 1920, spicca il racconto si un’aggressione subita dal gruppo da parte di due grandi scimmie: gli esploratori si erano accampati vicino al fiume Tarra, un affluente del Rio Catatumbo, quando videro avvicinarsi due grandi creature. Inizialmente, De Loys pensò si trattasse di una coppia di orsi, ma poco dopo notò le caratteristiche antropomorfe e concluse che dovevano essere un maschio e una femmina. Una delle creature si arrampicò su un albero. Secondo il racconto, il maschio era infuriato e avrebbe scagliato, urlando, le proprie feci contro gli uomini della spedizione. Gli esploratori avrebbero quindi sparato alla femmina, uccidendola; il maschio sarebbe allora fuggito dileguandosi nella giungla.

Una scimmia ragno intenta ad abbeverarsi
Una scimmia ragno intenta ad abbeverarsi

Esaminando la carcassa, gli uomini si resero subito conto della particolarità dell’esemplare: la creatura assomigliava ad una scimmia ragno, ma le dimensioni erano considerevolmente maggiori; l’animale era alto 157 centimetri, mentre le scimmie ragno più grandi raggiungono a malapena il metro. La scimmia, inoltre, aveva 32 denti, mentre la maggioranza delle scimmie americane ne hanno 36; il bacino sembrava fatto per un’andatura eretta e il particolare più interessante è che l’animale non aveva la coda. Si decise, quindi, di immortalare la creatura con una fotografia; a tal scopo la carcassa venne sistemata su una cassa e venne usato un bastone per mantenere la testa in posizione eretta poiché il collo dell’animale era spezzato. De Loys riferisce di aver successivamente rasato il pelo del primate, per avere una visione più nitida della corporatura. Furono scattate altre foto, andate poi perdute in un’inondazione.

Per afferrare appieno l'importanza della scoperta, è doveroso fare qualche cenno di zoologia: le scimmie si dividono in due famiglie principali: le Platirrine (o del nuovo mondo, cioè americane, per grande maggioranza appartenenti alla famiglia dei cebidi) e le Catarrine (o del vecchio mondo). Le prime, che sono quelle che ci si aspetterebbe di incontrare nella zona battuta da De Loys, sono in genere quadrupedi e dotate di coda prensile, il pollice non è mai opponibile ed il muso non risulta sporgente. Per la grande maggioranza, queste scimmie sono munite di 36 denti. La scimmia trovata da De Loys, sembrerebbe, sotto certi aspetti, appartenere alla seconda categoria, ovvero le Catarrine, a cui appartengono le scimmie antropomorfe (32 denti, pollice opponibile, assenza di coda, andatura eretta). Queste ultime non sono presenti in America, ma solo in Asia e in Africa.

Il volto di una Scimmia ragno (Ateles fusciceps).
Il volto di una Scimmia ragno (Ateles fusciceps).

Tuttavia, sin dai tempi più remoti in america meridionale si narrano leggende circa grandi scimmie antropomorfe: i Caribi della Guyana li chiamano kanaima, e li ritengono demoni armati di clava che si aggirano nei boschi, pronti ad assalire chiunque gli capiti davanti; in Brasile ed in Venezuela vengono chiamati vastiri; mentre in Colombia vengono descritti come uomini selvaggi per metà scimmie, dotati di enorme forza e ricoperti di pelo; i colombiani li chiamano didi. Alcune di queste leggende giungono da luoghi tanto remoti da escludere la possibilità che le abbiano introdotte gli europei. Vi è anche una testimonianza più recente: nel libro Natural History of Guiana, del 1769, il dottor Edward Bancroft, in un suo viaggio nel cuore della Guiana, riferì della presenza di una specie di 'orang-utan'.

In seguito, De Loys tornò in Europa, ma la storia della scimmia antropomorfa rimase segreta fino al 1929, anno in cui George Montandon, antropologo francese, leggeva il diario di De Loys alla ricerca di informazioni sulle tribù autoctone del Sudamerica. Dopo aver visionato la fotografia della creatura, Montandon la ritenne di grande interesse e volle ascoltare la storia del ritrovamento, che venne successivamente pubblicata sull'Illustrated London News il 15 giugno 1929 e successivamente su altre riviste scientifiche francesi. Montandon suggerì anche un nome scientifico per la creatura: Ameranthropoides loysi.

La notizia fece scalpore ed alcuni scettici, primo fra tutti l’eminente antropologo sir Arthur Keith, si convinsero che tutta la storia fosse un’invenzione dello stesso De Loys atta a ribaltare l’esito negativo della spedizione. Secondo Keith, la fotografia non era sufficiente per stabilire con chiarezza la corporatura dell’esemplare e, poiché non mostrava la parte posteriore dell’essere, l’affermazione di De Loys circa l’assenza della coda nell’esemplare non poteva essere comprovata. Nessuna delle due tesi, comunque, poteva essere dimostrata con certezza; il dibattito, quindi, rimase acceso.

Cranio di Protopithecus brasiliensis
Cranio di Protopithecus brasiliensis

Nel 1991 qiunse un'altra conferma della tesi di De Loys e Montandon da una spedizione americana in Venezuela. Alcuni abitanti del posto riconobbero nella foto di De Loys quella che chiamavano momo grande, che significa grande scimmia. Un Atele (scimmia ragno) di così grandi dimensioni è in effetti realmente esistita in sudamerica; la testimonianza di ciò ci arriva da alcuni reperti fossili. Questa scimmia primitiva, chiamata Protopithecus brasiliensis, venne scoperta per la prima volta dal naturalista danese Peter W. Lund nel 1836, che rinvenne parte di un femore e di un omero fossilizzati. Poi, nel 1992, il paleontologo americano Walter Hartwing della Gorge Washington University, e il brasiliano Castor Cartelle dell’università del Minas Gerais, ne scoprirono uno scheletro completo in una caverna presso Campo Formosa, in Brasile. Dall'esame dei fossili si è stabilito che queste antiche scimmie estintesi circa 10.000 anni fa, dovevano avere una taglia pressoché doppia degli ateli attuali; tuttavia, non erano antropomorfe e non avevano nulla a che vedere con le scimmie africane.

Teorie

La questione è controversa: per certi versi vi sono prove a favore dell'autenticità del caso, ad esempio se la cassa su cui è sistemata la scimmia nella foto era veramente una cassa per l'imballaggio dei barili di petrolio, allora la misurazione di De Loys che attribuisce all'esemplare un'altezza di 157 cm. è corretta, il che confermerebbe l'ipotesi che si tratti di un atele gigante. Di contro, vi è una lettera pubblicata nell'agosto 1999 sulla rivista Interciencia; risalente al 1962 ed indirizzata al direttore della rivista Diario El Universal:

Enrique Tejera (1962): [Lettera a Guillermo José Schael]. Diario El Universal, Caracas. 19 luglio.

"[…]Tale scimmia è un mito. Gli racconterò la sua storia.[…] 
Il signore Montandon ha detto che la scimmia non ha coda. Questo è certo, ma ha dimenticato di dire qualcosa, cioè che non l’ha perché gliela tagliarono. Posso assicurarlo signori, perché fu davanti a me che l’amputarono.

Chi parla in questo momento lavorava nel 1917 in un campo di esplorazione di un’industria petrolifera nella regione di Perijá. Il geologo era il signore François De Loys, l’ingegnere il Dr. Martín Tovar Lange. De Loys era un burlone e molte volte ridevamo dei suoi scherzetti. Un giorno gli regalarono una scimmia che aveva la coda malata: le fu amputata. Da quel momento De Loys lo chiamava “el hombre mono” ( l’uomo scimmia).

Tempo dopo io e Loys ci trovavamo in un’altra regione del Venezuela: nella zona chiamata Mene Grande. Camminava sempre a fianco della sua scimmietta, che però morì di li a poco. De Loys decise di farle una fotografia, e credo che il signor Montandon non lo negherà, è la stessa fotografia che egli ha presentato oggi (Tejera si riferisce alla conferenza “La scimmia con caratteristiche antropoidi.”, tenutasi presso l’Accademia delle Scienze di Parigi, alla quale era presente). […] Più recentemente in un viaggio a Parigi, il mio stupore fu grande visitando il Museo dell’Uomo. In cima ad una scala monumentale, riempiendo la parete di fondo, stava un’immensa fotografia e sotto la didascalia: “La prima scimmia antropoide incontrata in America”. Era la fotografia di De Loys, ma magnificamente ritoccata. Non si vedeva più la pianta presente nello sfondo né si capiva su che scatola era seduta la scimmia. Il trucco è fatto talmente bene che tra alcuni anni la scimmia in questione sarà alta più di due metri. […] Per finire devo avvisarla: Montandon non era una brava persona. Dopo la guerra fu fucilato perché tradì la Francia, la sua patria.

Cordialmente,

il suo amico Enrique Tejera."

Fonte:
www.inspiegabile.com

Redazione

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