Lo Yeti

L'Abominevole Uomo delle Nevi

Lo Yeti

Il termine Yeti pare derivi dall'espressione yeh-teh, che in lingua Tibetana significa ‘quella cosa'. È così, infatti, che gli sherpa si riferiscono a questa misteriosa creatura scimmiesca, che si dice abiti le innevate alture del Tibet e del Nepal, in particolare sulla catena dell'Himalaya. In Nepal viene anche chiamato Metoh Kangmi, dalla cui erronea traduzione è derivato il nome occidentale ‘abominevole uomo delle nevi'. Sembra che, secondo gli abitanti del Tibet, ne esistano addirittura due specie: la prima chiamata Dzu-Teh (che letteralmente significa grande cosa), sarebbe composta da individui enormi che possono superare i due metri e mezzo; la seconda, invece, si riferisce ad esemplari più piccoli, che non superano i 150 centimetri e vengono chiamati Meh-teh. A parte l'altezza, le descrizioni concordano sull'attribuire allo Yeti l'aspetto di un grande primate che si muove in posizione eretta, coperto di pelo rossiccio su tutto il corpo tranne che sulla faccia e sui dorsi di mani e piedi; descrizione molto simile a quella del bigfoot. La creatura avrebbe inoltre un torace robusto, grosse braccia pendule che gli arrivano fino alle ginocchia e una testa appuntita incastonata fra le larghe spalle. L'abominevole uomo delle nevi sarebbe inoltre onnivoro e la sua dentatura sarebbe simile a quella umana.

Il primo scritto che documenta l'incontro con uno yeti risale addirittura al 1407. Johann Schildberger, un esploratore bavarese, racconta di aver avvistato la leggendaria creatura sulla catena degli Altai, presso i confini occidentali fra la Mongolia e l'ex Unione Sovietica, nei suoi resoconti di viaggio. Poi, nel 1832, un residente britannico alla corte del Nepal di nome B.H. Hodgson, inviò in patria un rapporto nel quale sottolineava la preoccupazione dei cacciatori locali circa un ‘uomo selvaggio ricoperto di pelo'. Il maggiore L.A. Waddel, scoprì delle grandi orme sulle nevi del Sikkim nel 1889, che la gente del posto attribuiva alla creatura chiamata yeh-teh. Nel 1906 Henry Elwes, un botanico inglese (fra l'altro scopritore delle campanule giganti himalayane), riferì di aver avuto un incontro faccia a faccia con l'uomo delle nevi. Sempre in quel periodo J.R.O. Gent, che all'epoca era ufficiale forestale della divisione di Darjieeling, scrisse una lettera dove denunciava la presenza di un grosso animale simile ad una scimmia del bengala che durante la stagione fredda scendeva verso la foresta di Phalut spaventando i boscaioli che vi lavoravano.

Lo Yeti abiterebbe, pare, le vette dell'Himalaya
Lo Yeti abiterebbe, pare, le vette dell'Himalaya

Nel 1925, l'esploratore N.A. Tombazi ci fornisce un'altra testimonianza. Tombazi si era accampato sullo Zemu Gap, quando le grida dei suoi portatori sherpa lo fecero frettolosamente uscire dalla tenda. Non appena fuori della tenda, l'esploratore vide una grossa sagoma scura che camminava nella neve a circa 200 metri di distanza. La figura sembrava umana e camminava in posizione eretta; si chinava di tanto in tanto per raccogliere rododendri secchi e non portava abiti. Dopo pochi minuti la creatura scomparve, dando modo a Tombazi di esaminare le orme che aveva lasciato; erano lunghe circa 18 centimetri ed appartenevano chiaramente ad un bipede. Nel 1936, poi, lo scalatore Erich Shipton, scoprì delle orme a 4.800 metri di altezza, ma i portatori si rifiutarono di proseguire. Un anno più tardi, Frank Smith seguì a 6.000 metri delle misteriose orme che lo condussero all'entrata di una caverna. Il 1942 fu teatro di un altro misterioso avvenimento: in quella data, infatti, cinque uomini riuscirono a fuggire da un campo di prigionia in Siberia; giunti al confine tra Nepal e Tibet, scorsero in lontananza due giganti dall'aspetto umano con le braccia pendule lunghe fin sotto le ginocchia. I cinque evasi evitarono le creature tenendosi a distanza e, non appena i due giganti si allontanarono, si recarono sul luogo dell'avvistamento trovando enormi impronte lunghe 60 cm e larghe 20 cm .

Un altro episodio, avvenuto nel 1949, vide protagonista lo sherpa Sen Tensing; che affermò di aver avvistato uno yeti vicino al monastero di Thyang Bochi. L'animale fu descritto come a metà fra un uomo e una scimmia: camminava in posizione eretta, ma per correre usava tutti e quattro gli arti, come, ad esempio, un gorilla. Gli sherpa cercarono di scacciarlo con le urla e l'essere sparì nella foresta. 8 Novembre 1951; Eric Shipton era tornato sulle vette himalayane, accompagnato questa volta da Mike Ward. Mentre si dirigevano nella zona del Gaurisankar, a circa 6.000 metri, a sud ovest del passo di Melung-Tse si imbatterono in una lunga serie di imponenti orme sulla neve lunghe 29 centimetri e larghe più di 14. Furono scattate delle fotografie alle orme con una piccozza posta su un lato come riferimento per valutarne le dimensioni. Il gruppo di scalatori seguì la pista di impronte per circa 1500 metri , fino ad arrivare ad un profondo crepaccio. Le impronte erano presenti anche dall'altra parte dello strapiombo, evidenziando che, qualunque cosa le avesse lasciate, era stata in grado di compiere un salto sovrumano: «Dove le orme attraversavano il crepaccio, era perfettamente visibile il punto in cui la creatura aveva saltato ed usato le sue dita per assicurarsi la presa sulla neve nel ciglio opposto». Grazie a questo episodio, quello dello yeti divenne un caso di interesse mondiale.

Foto scattata da Eric Shipton nella zona del Gaurisankar, a circa 6.000 metri di altezza a sud ovest del passo di Melung-Tse
Foto scattata da Eric Shipton nella zona del Gaurisankar, a circa 6.000 metri di altezza a sud ovest del passo di Melung-Tse

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Altre tracce furono rinvenute da una spedizione francese sul Makalu maggio del 1955 vicino al Barun Col. P. Bordet, il geologo che fotografò le orme, racconta: «Ho seguito le impronte per più di un chilometro, contandone circa 3000. Erano tutte dello stesso tipo, profondamente impresse da un piede di sembianze umane. La pianta era ellittica e davanti ad essa erano impresse forme circolari delle dita, che erano quattro e non cinque, il primo dito all'interno era più grande dei restanti, che erano maggiori di quelli di un uomo e non possedevano artigli. [...] nell'impronta impressa più chiaramente si notavano piccoli ponti di neve che dividevano le dita, mostrando che queste erano leggermente separate quando la creatura camminava. La lunghezza delle orme era di circa 20 cm mentre la distanza dall'una all'altra era di 50 cm». Si poteva inoltre constatare che chiunque avesse lasciato quelle impronte doveva essere un bipede, poiché in un punto dove era chiaro che la creatura atterrò dopo un salto, non vi erano tracce di zampe anteriori. Bordet si consultò, in seguito, con i professori Berlioz e Aramburg del Museo di Storia Naturale di Parigi, i quali non conoscevano nessun animale capace di lasciare simili impronte e nello stesso tempo possedesse un'andatura totalmente bipede; conclusero che doveva trattarsi di qualche specie di orso o di scimmia sconosciuta.

Un'altra attendibile testimonianza ci arriva dall'esploratrice italiana Elena Bordoni: l'8 luglio 1995 la donna scoprì una lunga pista di orme sul passo Tashilaphtza, in Nepal, a 5000 metri sul monte Everest. L'esploratrice racconta: «Stavamo percorrendo la valle Kumbu quando abbiamo rinvenuto delle impronte gigantesche [...] sapevamo che in quella zona, inaccessibile alle persone normali, non passavano più spedizioni da diversi anni. Quelle orme non potevano che appartenere allo yeti».

Serie di impronte scoperte dall'esploratrice italiana Elena Bordoni l'8 luglio 1995
Serie di impronte scoperte dall'esploratrice italiana Elena Bordoni l'8 luglio 1995.

Reinhold Messner, il famoso alpinista ed esploratore italiano noto a tutti per aver scalato per primo le 14 vette sul nostro pianeta che superano gli 8000 metri sul livello del mare, crede fermamente all'esistenza di questa creatura; afferma, inoltre di averla avvistata personalmente. Messner racconta: «Lo Yeti che ho incontrato è un essere alto circa due metri e mezzo. Il suo peso dovrebbe essere intorno ai 300 chili e con un vello lungo dai 30 ai 40 centimetri. Le segnalazioni lo collocherebbero ad una altitudine tra i 4.000 e i 6.000 metri e sarebbe stato visto sia di giorno che di notte, quindi con un ciclo biologico molto attivo [...] Nella mia ultima spedizione sono riuscito a raccogliere informazioni precise sul probabile numero di queste creature misteriose: ve ne saranno al massimo un migliaio, disseminate in una regione vastissima quale l'Himalaya e le sue vette innevate».

«La prima volta che lo vidi fu nel 1986, in una delle regioni appartenenti al Tibet orientale che, per motivi di tutela e segretezza nei confronti della creatura, preferisco non rivelare. Era circa mezzanotte. Stanchissimo e stravolto dalla lunga marcia diurna, ho avvistato un enorme essere, ritto sulle zampe posteriori, in posizione bipede. Guardava nella mia direzione. Ha iniziato a fischiare come per minacciarmi. A quel punto mi sono passate nella mente tutte le storie che avevo sentito sull'Abominevole Uomo delle Nevi. Avevo sempre creduto che rientrassero nella categoria dei miti e delle leggende, ma in seguito si sono verificati altri due incontri e precisamente nel 1988 e nel 1997».

Teorie

Quello dello Yeti è un caso molto importante per la criptozoologia: anche se in tanti anni di ricerche non è ancora saltata fuori una prova conclusiva, le testimonianze raccolte, come abbiamo visto, provengono da persone la cui credibilità, difficilmente può essere messa in dubbio. L'idea che esseri simili all'uomo possano condurre una vita selvaggia senza essere scoperti dalla civiltà non è poi tanto remota; un esempio è quello di un gruppo di uomini che vivevano in una caverna sull'Himalaya: non conoscevano il fuoco e si cibavano di carne cruda. Vennero scoperti da una spedizione dell'esercito indiano nel 1982.

Rappresentazione artistica di uno Yeti
Rappresentazione artistica di uno Yeti

Oltre alle orme, vi sono anche altre prove fisiche che potrebbero essere correlate all'esistenza dello Yeti. Ad esempio nel 1934, ad Hong Kong, il paleontologo olandese Ralph Von Koenigswald scovò, in una di quelle farmacie cinesi ricche di cianfrusaglie, un molare molto simile ad un dente umano ma circa sei volte più grande. Secondo il negoziante, si trattava di un "dente di drago", che i contadini trovavano spesso nei campi. Koenigswald decise di andare in fondo alla faccenda e cominciò le sue ricerche: scoprì denti simili anche in Cina, India e Pakistan; tutti luoghi non troppo lontani dall'Himalaya. Il mondo scientifico poté così accertare l'esistenza di una grande scimmia che fu chiamata Gigantopitecus e che è ritenuta estinta da quattrocentomila anni. Si pensa che questa scimmia potesse sfiorare i 3 metri di altezza e se si accetta l'ipotesi che qualche esemplare abbia potuto continuare a sopravvivere nei luoghi dove l'uomo non è ancora arrivato, l'esistenza dello Yeti non sembra più così assurda. Per un certo periodo, girarono anche voci circa presunti scalpi di Yeti conservati in alcuni monasteri tibetani e venerati come reliquie. Pare che gli esemplari migliori fossero conservati nei monasteri di Pangboche e di Khumjung. I presunti reperti vennero portati in occidente per essere analizzati, ma alla fine si rivelarono provenire da un serow del sud (Capricornis sumatrensis thar), una specie di capra tibetana.

A parte la teoria del Gigantopitecus, alcuni ricercatori sostengono che possa trattarsi di uomini che vivono in isolamento; questa teoria, comunque, non giustifica le grandi orme rinvenute in più occasioni.

Fonte:
www.inspiegabile.com

Redazione

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